Gli eroi di oggi – due interviste operatori sanitari

Gli eroi di oggi – due interviste operatori sanitari

                                                                         

GLI EROI DI OGGI  

  Interviste ad operatori sanitari in prima linea nella guerra contro il Covid

Il 21 marzo 2021 noi ragazzi della redazione de “La Piazza” abbiamo intervistato Olivia Morelli, madre di due alunni della nostra scuola, che lavora come infermiera nella terapia intensiva dell’ospedale Santa Maria Annunziata di Ponte a Niccheri. Nello stesso periodo uno di noi ha intervistato Lucilla Biagi, anch’essa madre di un nostro compagno, di professione Operatrice socio-sanitaria, attualmente impiegata anche lei presso il reparto di terapia intensiva  dell’ospedale Santa Maria Annunziata. 

Ci sono persone che non danno importanza al Covid, ma pensare a persone come loro, che ogni giorno combattono per la salute degli altri, dovrebbe farli riflettere un po’.

Ringraziamo Olivia e Lucilla per il tempo che ci hanno dedicato e per il lavoro eroico che quotidianamente svolgono.

Olivia Morelli

Olivia, che abbiamo incontrato in videoconferenza, si è presentata con la tuta integrale che deve indossare in servizio per evitare di essere contagiata.

Olivia, quanto durano i turni? E se un operatore ha bisogno di qualcosa come fa?Il pomeriggio facciamo 7 ore, la mattina seguente 6 ore e poi la notte dalle 20 di sera alle 7 la mattina, dopodiché di nuovo il pomeriggio e il giro ricomincia.Noi siamo 12 infermieri per 22 posti disponibili. Se dobbiamo andare in bagno oppure bere o mangiare, dobbiamo aspettare almeno 4/5 ore, fino a che arriva il collega che ci dà il cambio.

Come avete fatto a proteggervi nonostante foste in contatto con  pazienti positivi?

Tutto grazie alla tuta protettiva, che isola completamente dall’ esterno. Per metterla ci vogliono circa 15 minuti, e per toglierla 30. A spogliarci c’è una persona apposta che ci sveste completamente nella stanza filtro.  

Avete mai preso il Covid? 

No, nessuno di noi ha mai preso il Covid, però all’ inizio, a marzo e aprile, abbiamo avuto tanta paura, tanto che io sono andata ad abitare per un mese da una mia collega per paura di portare il virus ai miei ragazzi.

Lei ha fatto il vaccino?                                                                                        

Sì, tutti noi abbiamo fatto il vaccino Pfizer tra gennaio e febbraio. Qualcuno ha avuto qualche linea di febbre e qualche doloretto qua e là, ma niente di grave. L’ unico modo per uscire da questa situazione è vaccinarsi, e io sono assolutamente favorevole e lo consiglio.

Quali sono i sintomi più comuni del Covid? Com’è  la situazione del reparto al momento? E quanti anni aveva la persona più giovane ricoverata nel vostro reparto?

I sintomi più comuni del Covid sono febbre, raffreddore e perdita di gusto e olfatto.

Nel nostro reparto entrano persone con difficoltà respiratorie. Per ora i posti occupati sono 18 su 22 , quindi ne restano solo 4 disponibili. La persona più anziana  ricoverata in rianimazione aveva 88 anni, mentre la più giovane è stata una ragazza di 25 anni. 

Come ci si sente quando un paziente muore?

Ne sono morti tanti e ogni volta per noi è una sconfitta. E’ difficile anche perché, a causa del rischio di contagio,  gli ammalati non possono essere confortati dai familiari. Ora, grazie alla tecnologia, facciamo videochiamate con le persone che sono in grado, manca però il contatto fisico.

Quando invece un paziente guarisce?

Quando il paziente invece guarisce e viene spostato in medicina generale, è una vittoria.

Quanto rimane in media un paziente in terapia intensiva? E quali conseguenze hanno riportato le persone guarite?

Un paziente in media rimane nel nostro reparto 20 giorni. Pian pianino le persone guarite hanno recuperato, alcuni, che magari sono atleti, hanno ricominciato a praticare sport. Altri però hanno ancora difficoltà respiratorie e devono sottoporsi spesso ai controlli.

Eravate preparati ad un’ emergenza simile?

Fortunatamente eravamo pronti, perché nel 2011 abbiamo riscontrato dei casi del virus Sars, quindi avevamo già predisposto tutto e ci avevano già addestrato ad affrontare una cosa simile.

Quanto è stancante il suo lavoro? Come gestite lo stress?

Per noi è molto pesante a livello emotivo, veder morire tanta gente, ma è dura anche a livello fisico, perché stare in piedi tante ore e con quelle tute è molto difficile.

Fortunatamente per lo stress abbiamo a disposizione degli psicologi che possiamo consultare in caso di bisogno.

Ha mai pensato di mollare tutto?

No. Quando è arrivato il Covid tutti abbiamo avuto molta paura, ma nessuno ha mai mollato. Questa battaglia ci ha uniti fra di noi, ma siamo tutti molto tristi per come sta andando la cosa.

Ha qualcosa da dire ai ragazzi?

L’Italia è  soggetta alle influenze e accade che alcune persone fragili possano morire, ma il Covid non è una normale influenza, è una malattia molto più contagiosa e mortale. Dobbiamo quindi stare molto attenti per noi e per i nostri cari, tenere sempre la mascherina e lavarsi spesso le mani, perché il Covid è molto più vicino di quanto non si creda.

A cura di Gabriele Diani e Tommaso Masti  1A Secondaria

Lucilla Biagi

Lucilla ha 40 anni,  da marzo 2020 lavora a stretto contatto con il Covid.

Lucilla, quando hai iniziato a occuparti di Covid?

La prima esperienza è stata in una rsa COVID, a Bucine, vicino ad Arezzo, dove  tutti i pazienti del modulo alzheimer e la maggior parte degli operatori ed infermieri erano positivi. Mancando personale addestrato hanno deciso di dare in gestione l’intero modulo alla ASL.  Ho fatto parte di una delle prime task force COVID in Italia. 

Che effetto ti ha fatto?

Ero onorata e spaventata allo stesso tempo. Nessuno di noi aveva mai avuto un’esperienza del genere e non sapevamo come comportarci.

Cosa dovevate fare?

Prima di entrare in reparto dovevamo scafandrarci completamente. Oltre alla tuta sopra la divisa dovevamo mettere soprascarpe di nylon, cuffia nei capelli, visiera, doppia maschera e doppi guanti. Il terzo paio di guanti lo cambiavamo ogni volta che toccavamo qualcosa o qualcuno. Il nostro lavoro consisteva nell’assistere i pazienti malati in tutto, dal mangiare, al gestire l’igiene, al curare i pazienti che stavano peggio. Ne abbiamo visti morire davvero tanti, è stato terribile. 

Come hai vissuto la prima ondata?

È stato come vivere in un mondo parallelo. Uscire da lavoro e non trovare nessuno per la strada, solo animali selvatici che si rimpossessavano del loro habitat è stato a tratti emozionante. C’era un clima apocalittico, ma col senno di poi penso che sia stata l’unica cosa che potesse funzionare davvero, tutti a casa, il virus si ferma.

Siamo stati tutti travolti da emozioni forti e contrastanti, ci hanno salvato la paura e l’adrenalina, per questo nessuno della mia squadra si è ammalato in quel momento… poi…

Poi?

Poi c’è stata l’estate, e tante persone si sono dimenticate del Covid, poi sono arrivati i vaccini, e con loro le varianti, le persone che rifiutavano di vaccinarsi, le persone disattente al prossimo che non mettevano la mascherina, e soprattutto l’adrenalina e la paura hanno lasciato spazio alla depressione, alla sfiducia, alla mancanza di speranza e soprattutto alla disattenzione… molti di noi si sono ammalati, ogni chiusura ha reso tutti più nervosi, ma gli ospedali hanno sempre sofferto una situazione che non veniva mai comunicata se non nei momenti di più grande affluenza di pazienti positivi. Come adesso, non ci sono posti letto, si ammalano sempre più giovani, i vaccini non bastano e ugualmente tante persone sono in giro….

Cosa pensi per il futuro?

Ho la speranza che la campagna vaccinale si porti avanti in qualche modo, anche perché è davvero l’unica soluzione, però si devono vaccinare rapidamente i giovani, le persone che lavorano, i ragazzi che vanno a scuola… Ho paura che quando la maggior parte della popolazione sarà vaccinata ci troveremo a dover rivaccinare i primi che hanno avuto le somministrazioni, come noi operatori sanitari. 

Spero in un’estate più libera ma controllata, spero si riesca davvero a debellare questo grande male perché non dimentichiamoci che non esiste solo il Covid e chi soffre di altre patologie è stato messo in disparte.

Diego Castellani 2A Secondaria