Interviste impossibili: Se potessimo incontrare donne e uomini che hanno combattuto la mafia

Interviste impossibili: Se potessimo incontrare donne e uomini che hanno combattuto la mafia

Interviste impossibili
Se potessimo incontrare donne e uomini che hanno combattuto la mafia

Ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera, Libera celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Dal 1996, ogni anno, in città diverse vengono recitati nomi e cognomi di vittime innocenti, con la speranza e il desiderio che questi nomi e i loro volti rimangano vivi nel ricordo di ognuno, anche di chi non li ha mai conosciuti, in modo che diventi un vero e proprio dovere morale quello di non dimenticare.

Noi ragazzi della 3D abbiamo deciso di ricordare qualcuno di loro, studiandone la biografia e immaginando di poterli intervistare con la possibilità di sentire ancora vicino delle persone che, con il loro coraggio e la loro umanità, hanno dimostrato che  “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”

Don Pino Puglisi.

Salve signor Don Pino Puglisi. Abbiamo sentito molto parlare di lei. Ci vuole raccontare, in breve, la sua storia?

Sì, molto volentieri; ero un prete che da sempre ha lottato per la sua parrocchia, quella di un paesino infestato da una lotta tra due famiglie mafiose. Io ho sempre lottato contro la mafia per porre fine alle “guerre” e alle ingiustizie che, da sempre, questi piccoli paesini, subiscono. Ho fatto spesso delle Omelie nelle quali mi sono rivolto ai mafiosi che mi consideravano come un ostacolo, perché allontanavo i giovani alla mafia. Ho puntato proprio sui ragazzi: ho dimostrato loro che, fuori dalle mura domestiche, dai quartieri degradati, dai piccoli come dai grandi soprusi, è possibile un’ambiente fatto di armonia, condivisione, partecipazione e bisogno reciproco. L’unica soluzione che hanno trovato, è stata quella di uccidermi. Ha fatto paura il fatto che così tanti bambini trovassero un’alternativa alla cattiveria, nella mia parrocchia e nell’amore che nutrivo per loro.

Lei ha sempre saputo a cosa andava incontro?

Purtroppo sì, ma io ho sempre cercato di dare l’esempio. E’ importante parlare di mafia e non ci si deve mai fermare, anche se si subisce un torto. La differenza non la può fare un singolo, ma tutti insieme sì, si può, ed  ho sperato che i giovani mi potessero seguire. In effetti, così è stato! E questo ha fatto più paura di qualsiasi altra cosa. Ho capito subito che prima o poi sarebbe finita, che mi avrebbero ammazzato, ma ho fatto tutto questo per aprire gli occhi ai bambini abituati a vivere, purtroppo, nell’illegalità e a farli sperava in un’alternativa di bellezza e legalità.

E non ha avuto paura?

Sì, ma con l’aiuto di Dio, sempre al mio fianco, ero tranquillo. Sapevo di lavorare nel giusto, per il bene della mia gente. Io non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti. 

Cosa vorrebbe dire ai giovani di oggi?

Vorrei dire molte cose, ma soprattutto vorrei comunicare che è importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per capire l’importanza del combattere contro la mentalità mafiosa; una mentalità comune ai più, anche a chi pensa di esserne esente. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Le parole devono essere confermate dai fatti. La vita non è fatta solo di violenza e di degrado, ma ci sono valori come la pace, la fraternità e la collaborazione che vanno portati avanti oltre la mentalità della prevaricazione.

Cosa vorrebbe dire al suo assassino?

Vorrei dirgli che spesso le persone sbagliano, ma tutte possono ritornare su binari diversi.  Non è mai tardi per capirlo. Personalmente non provo odio verso di lui, ma tanto dispiacere sì: i motivi che lo hanno portato a compiere quel disperato gesto, apparentemente sono incomprensibili, ma so che dipendono dallo squallido ambiente in cui è stato costretto a vivere nel momento in cui nessuno gli ha dato un’alternativa di legalità e condivisione di valori buoni.

Come pensa che sia il futuro?

I giovani che prendono coscienza della loro identità e della loro responsabilità sociali sono la nostra speranza per un futuro migliore.

Matteo Ambrosini, Anita Fabiani, Gloria Tempesti 3D Secondaria

Paolo Borsellino

Oggi intervisteremo un famoso magistrato italiano che per molto tempo ha lottato contro la mafia: Paolo Borsellino, ucciso nel luglio 1992, due mesi dopo il suo collega, Giovanni Falcone, nella sua città natale. 

Cosa lo ha spinto ad iniziare a lottare contro la mafia?

La mia carriera è iniziata nel 1963, quando partecipai a un concorso per entrare in magistratura; avendo superato il concorso, divenni il più giovane magistrato d’Italia, dopo di che, nel 1975, mi trasferirono all’ufficio istruzione del tribunale di Palermo. Il 4 maggio 1980 mi fu assegnata una scorta perché venne ucciso un mio stretto collaboratore, il capitano Basile. In casa mia eravamo tutti tesi e dovetti conoscere tutti i componenti della mia scorta. Inoltre, nello stesso anno arrestai, per la prima volta, 6 mafiosi;  il 5 marzo dello stesso anno mi fu data la nomina di magistrato d’appello. Partecipai al “pool antimafia”  a cui lavoravo insieme a Falcone, Barrile e Rocco Chinnici. Il Pool antimafia era formato da un gruppo ristretto di persone che si occupavano solo di mafia, condividendo i risultati delle indagini di ognuno. Non mi arresi mai e continuai sempre a lottare anche dopo la morte dei miei cari e dei miei colleghi, perché sapevo che loro avrebbero voluto che fosse così e perché sapevo che quella era la cosa giusta da fare. Non potevo rimanere in silenzio con le mani legate, bisognava correre il rischio.

Come ci ha rammentato ora, ha lavorato molto con Falcone con il quale aveva un’amicizia speciale. Come lo ha conosciuto?

Io e Giovanni ci conosciamo da quando eravamo molto piccoli, ci siamo conosciuti guardando insieme le partite di calcio nel quartiere, abitavamo davvero vicini, abbiamo continuato gli studi insieme, infatti abbiamo studiato tutti e due al liceo classico. E sempre insieme abbiamo deciso di intraprendere la lotta contro la mafia, quando abbiamo partecipato al pool. Abbiamo deciso di rischiare il tutto e per tutto combattendo il mostro che tutt’oggi,purtroppo, anche se in diversa forma, vi coinvolge. Quando abbiamo iniziato a lottare insieme, quasi nessuno conosceva la mafia, si continuava a negarne l’esistenza, in pochi ne parlavano; anche noi avevamo paura, però sentivamo la necessità di fare qualcosa. Tutti ci conoscono, ma non ci piace sentirci degli eroi; come una volta dissi, la paura è umana, ma la si può combattere con il coraggio. Io e Giovanni eravamo molto legati e quando fu ucciso, fu chiaro all’Italia tutta che al suo funerale avevo perso un amico, un fratello insostituibile.  Sempre al suo funerale dissi che io stesso ero un morto che camminava:  avevo la consapevolezza che, dopo Giovanni,  sarebbe toccato a me.

Ecco, infatti… che sensazione ha provato quando ha saputo che Falcone, il suo amico, fu ucciso?

Come ho già detto, l’amicizia  tra noi due era speciale, ma sapevamo benissimo di essere nel loro mirino. Se lotti contro questo mostro, sai bene di essere  esposto a questo pericolo, ma questo non ci ha fatto arretrare di un passo.  Sapevamo  che la mafia ci avrebbe fatti  fuori, perciò quando uccisero Falcone capì che da lì a poco sarebbe toccato anche a me. Al suo funerale cercai di rendergli onore facendo capire che lui era ancora lì tra noi, che lui era ancora vivo. Io, invece, mi sentivo come un morto che camminava.  Avere scritto i nomi di politici corrotti e di ipotetiche connivenze nella mia agenda rossa, mi aveva messo in pericolo. Ero pronto. 

A proposito, perché ha iniziato a scrivere sull’agenda rossa? E cosa c’era scritto?

Quando iniziai la mia carriera come magistrato non mi sarei mai aspettato che tanti politici potessero farsi corrompere dai mafiosi. La conferma mi arrivò quando un mio collega scoprì che un mafioso non venne condannato perché molto probabilmente aveva corrotto la corte e i politici. Perciò la mia ricerca non fu più solo sui mafiosi, ma anche sui politici corrotti, sulle connivenze con lo Stato. Iniziai a scrivere nell’agenda perché volevo che nessuno potesse conoscere  le prove trovate e i nomi a cui ero giunto, neanche a Falcone. L’agenda la portavo sempre con me e, come ho detto prima,  fu una delle cause  della mia morte, perché proprio quando morii non fu più ritrovata sul luogo della strage, Via D’Amelio, la via in cui viveva mia madre che quel giorno ero andata a trovare.

Com’è stato essere ucciso da dei mafiosi? Come è stato rivedere Falcone, dopo la morte?

Come ho già detto prima, sapevo già a cosa andavo incontro, ma ho voluto comunque continuare il mio lavoro da magistrato credendo fino in fondo in ciò che stavo facendo. Mi hanno ucciso il 19 luglio 1992. Ero andata a trovare mia madre, appunto, e mentre stavo suonando il campanello è esplosa una Fiat 126 carica di esplosivo; purtroppo sono morti anche 5 dei miei agenti di scorta.  Incontrare nuovamente Falcone, dopo la mia morte, in Paradiso, è stato molto bello: nei miei due mesi di vita dopo la sua uccisione sapevo che mi guardava dall’alto e ancora oggi siamo molto orgogliosi e fieri l’uno dell’altro perché entrambi abbiamo creduto fino in fondo nella lotta alla Mafia. E’ vero, abbiamo pagato con le nostre vite, ma continuiamo ad essere speranzosi; come dice Giovanni… “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.

Elisa Lorenzetti, Arwa Bouhani, Caterina Rosi Ragoobeer 3D Secondaria

Angelamaria Fiume

Oggi intervistiamo lei, Mariangela, anche se il suo nome non è conosciuto al pari degli altri. Chi è? Perché ancora oggi, a Firenze, si parla di lei e della sua famiglia?

Sono stata una custode dell’Accademia dei Georgofili, a Firenze, e vivevo lì, in centro, in Via dei Georgofili, vicino gli Uffizi. Il 27 maggio 1993, pochi minuti dopo l’una del mattino, in piena notte, si è verificata una terribile esplosione, un’esplosione sconvolgente. L’esplosione ha distrutto la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Lì sono morta io, Angelamaria Fiume in Nencioni, insieme ai componenti della mia famiglia, mio marito Fabrizio Nencioni e le bambine Nadia, di nove anni e Caterina di 50 giorni. Si è incendiato, inoltre, un edificio di via dei Georgofili e tra le fiamme è morto anche Dario Capolicchio. Sono rimaste ferite anche trentotto persone.

Molti edifici della zona sono stati gravemente danneggiati: le chiese di Santo Stefano e Cecilia, ad esempio, oltre al complesso monumentale della Galleria degli Uffizi. Preziosi dipinti sono stati distrutti e il 25% delle opere della galleria sono state danneggiate. L’esplosione è stata causata da un’autobomba parcheggiata proprio in Via dei Georgofili. 

Perché, secondo lei, la mafia ha voluto colpire proprio via Georgofili, vicino agli Uffizi? 

Sicuramente la mafia ha puntato a distruggere una tra le parti più conosciute di Firenze dal punto di vista culturale, perché sulla via passa il Corridoio Vasariano, perché è vicina al Museo degli Uffizi, perchè è presente pure la torre dei Pulci, che è stata completamente distrutta. Perciò secondo me la mafia ha voluto danneggiare e minacciare lo Stato, colpendolo al cuore tramite la cultura. Il pensiero mafioso era questo: «ucciso un giudice questi viene sostituito, ucciso un poliziotto avviene la stessa cosa, ma distrutta la torre di Pisa veniva distrutta una cosa insostituibile con incalcolabili danni per lo Stato».

Ti saresti mai aspettata di morire uccisa della Mafia? 

No, non me lo sarei aspettato perché  io non avevo mai avuto contatti con la mafia, né ero stata mai minacciata da questa. Perciò, sì, ero coinvolta come cittadina italiana, ma non personalmente, mi sembrava una cosa lontana da me e dalla mia famiglia. All’epoca si parlava ancora molto degli attentati dell’ anno prima a Falcone e Borsellino, ma io non pensavo che le mafie avrebbero colpito delle persone così distanti dalla malavita come me che vivevo in un posto che non consideravo potesse essere “toccato” dalla mafia. Ma la mafia è ovunque, lo abbiamo capito subito dopo.

Qual è il suo parere sulle mafie dopo l’attentato di via dei Georgofili? 

La mafia è un  mostro orribile e dopo tutti gli attentati e le morti tragiche, il nostro compito, il compito di chi rimane, è quello di combatterla, ma non nell’isolamento: solo se uniti, possiamo far paura alla mafia ed estirpare questa erbaccia.

Dopo la sua morte è cambiato qualcosa in Italia contro la mafia?

Sicuramente ha aperto gli occhi degli italiani che pensavano che il fenomeno mafioso fosse localizzato solo in una parte del nostro Paese; dopo gli attentati dei primi anni Novanta, gli  italiani sono spesso scesi in piazza, disperati, avendo perso fiducia nello Stato, chiedendo maggiori controlli e gridando a gran voce che la mafia esiste, cosa che prima si tendeva a nascondere o a far finta che non esistesse. Per me e tutti i morti della strage di via dei Georgofili è stato piantato un albero, un ulivo: se vi capita di fare una passeggiata per il centro di Firenze, venite a salutarlo: porterete un saluto anche a noi, vittime innocenti della mafia. 

Camilla Misuri, Neri Degl’Innocenti, Bernardo Leggieri 3D Secondaria