“La salita al cancello. Villa La Selva”. Il concorso letterario dell’Istituto: i testi vincitori e quelli che hanno ricevuto la menzione speciale della giuria.

“La salita al cancello. Villa La Selva”. Il concorso letterario dell’Istituto: i testi vincitori e quelli che hanno ricevuto la menzione speciale della giuria.

TESTO VINCITORE CLASSI PRIME SECONDARIA

La stessa sera Eugenio raccontò tutto ai suoi genitori e loro, un po’ spaventati, dissero di non tornare più a Villa la Selva e di dimenticarsi di quella ragazzina sconosciuta. Eugenio, dopo le strazianti parole dei suoi genitori, decise ovviamente di…non dar loro ascolto ( come ogni adolescente ) e decise anche preparare un piano con Davide, Renzino e Augusto.

Il giorno dopo, con la scusa di andare a comprare il pane, Eugenio, anzi, Ugenio, come lo chiamava Davide dalla terza elementare, andò piano piano alla villa per lanciare oltre la recinzione delle cose per la giovane fanciulla straniera che la mattina prima era entrata in quel cancello, con il suo fiore in mano.

Appena arrivato lì notò un silenzio tombale e si avvicinò lentamente con uno zaino rosso e verde in mano dal quale tirò fuori una lettera, una fetta di pane e una matita nera. Nella lettera Eugenio aveva scritto una domanda: “Come ti chiami?”, poi aveva annotato delle informazioni. La cosa più importante che Eugenio aveva chiesto nella lettera era di rispondere entro la mattina successiva.

Il giorno dopo Eugenio andò a vedere se la fanciulla aveva ricevuto il suo messaggio. Appena arrivò al cancello vide che lei aveva risposto alla lettera!

Infatti scoprì che si chiamava Karin. Il ragazzo dopo qualche giorno, decise di mettere in atto il suo piano e chiese ai suoi amici di cercare delle persone che potessero aiutarli per far vivere una vita libera e pacifica a quelle persone “intrappolate”.

Davide disse: “Io non ho trovato nessuno, pensavano fossi pazzo, scusate”.

Invece Augusto esclamò: “Io ho trovato dei partigiani che passavano da Gianmarco, il macellaio sotto casa mia, e mi hanno detto che ci aiuteranno di sicuro pur di vedere dei sorrisi sulle facce di quegli ebrei!”

Eugenio commosso abbracciò i suoi amici e tornò a casa fiero e con un sorriso stampato sul volto pieno di lentiggini. E fu così, ai primi di maggio del Quarantaquattro, sessanta partigiani liberarono quarantadue persone da Villa la Selva, tra cui Karin. Appena Eugenio la rivide, l’abbracciò con le lacrime che gli scendevano fino al collo e la guardò nei suoi occhi pieni di amore dichiarandole tutto il bene che le voleva.

Anche Karin confermò di amarlo e lo ringraziò per esserle stato sempre vicino, poi gli dette anche la sua spilletta degli ebrei e il fiore che aveva tenuto come un tesoro.

Sono passati quaranta anni da quei primi di maggio e Karin ed Eugenio sono sposati, hanno due nipotine di nome Giulia e Rebecca, alle quali ogni primo di maggio raccontano la loro  commovente storia.

Ginevra Stinghi 1C

TESTO MENZIONE SPECIALE CLASSI PRIME SECONDARIA

La triste giornata del 24 gennaio 1944 al Ferrone, tra urla e pianti dei bambini, i fascisti e i nazisti si presentarono a casa Calò. Tra i componenti della famiglia c’erano Fiorella di quattro mesi e Sara di nemmeno due anni. I fascisti arrestarono le sette persone che trovarono in casa Calò, mancava Fernando, il babbo, che era a lavoro e il giorno prima aveva avuto un disguido con una guardia fascista dell’Impruneta.

Fernando aveva detto che la guerra era finita, ma la guardia evidentemente aveva fatto la spia e i tedeschi andarono a prendere la famiglia Calò a casa. Quando Fernando tornò a casa da lavoro non trovò i familiari e decise di andare a cercarli, così si consegnò ai fascisti per ricongiungersi con loro.

La famiglia fu portata nel campo di raccolta di Bagno a Ripoli: Villa la Selva.

Mentre Sara era in fila per entrare nel cancello iniziò a piangere, perché si era accorta di aver smarrito il suo pupazzo a forma di orsacchiotto e di non essere a casa, ma in un posto brutto. Un ragazzo, di nome Eugenio, che era seduto sul muretto di recinzione della villa a parlare con i suoi amici si accorse che la bambina piangeva e decise di portarle il pupazzo che aveva trovato nell’erba.

Sara si era tranquillizzata ed era sparita dentro la villa.

Il giorno seguente il ragazzo tornò davanti al cancello con i suoi amici, sperava infatti di ritrovare la bambina, ma vide il pupazzo abbandonato nell’erba. Un amico di Eugenio gli disse che le persone che venivano portate a Villa La Selva venivano subito dopo deportate ad Auschwitz.

Infatti la famiglia Calò fu portata a Milano, dove uccisero tutti tranne Sara e Fiorella che furono deportate ad Auschwitz e lì trovarono la morte stremate dalla fame e dal freddo.

La casa in cui abitavano i Calò è a trecento metri da casa mia, per questo ho immaginato che la bambina fosse quella del fumetto. Lì il tempo sembra si sia fermato a quella mattina del 1944. Le mura sembrano bombardate, la porta semiaperta sembra stia attendendo ancora l’arrivo della famiglia Calò, c’è un ponteggio per evitare che le mura crollino sulla strada. Tutte le volte che ci passo mi viene in mente che non è sufficiente una giornata in memoria della deportazione di tanti innocenti e che non dobbiamo mai dimenticare quello che è successo.

Bianca Faggi 1C

TESTO VINCITORE CLASSI SECONDE SECONDARIA

Aprile del ‘44

Eugenio era stato molto triste nello scoprire che Caterina fosse ebrea e quindi che stesse nel campo di Villa la Selva. Non tornò subito a casa, ma preferì andare alla Tana con i suoi amici. La tana era una piccola grotticella che si trovava nel campo di Renzino; lui e i suoi amici si ritrovano molto spesso lì e, ogni volta, dicevano che se i soldati avessero attaccato, si sarebbero rifugiati lì perché, secondo loro, era il posto più sicuro.

“…e poi è entrata dentro Villa la Selva scortata da un soldato”, finisce di raccontare Eugenio. Gli amici si guardarono sbalorditi e, improvvisamente, si misero a ridere all’unisono. “Visto che la ti garba? Ah ah ah”, lo prese in giro Renzino. Subito Eugenio si alzò e se andò via urlando: “Smettetela di ridere! Dobbiamo aiutarla, ha solo la nostra età, non si merita di soffrire così tanto!” Gli amici si guardarono perplessi, mentre Eugenio tornò a casa correndo attraverso i campi. Già dalle 8 di mattina pioveva e tirava un forte vento, quindi spostarsi risultava difficile. Eugenio tornò a casa tutto bagnato e si recò subito in camera, dove trovò il suo fratellino dormire sul letto; decise, non potendo stare fuori a giocare, di andare ad aiutare la madre.

Quando entrò, però, trovò due partigiani che mangiavano una minestra preparata dalla mamma.

“Ciao Eugenio, saluta questi signori che staranno con noi per qualche giorno”, lo invitò la madre. Eugenio capì subito che i due stavano combattendo per la Resistenza e, senza preliminari, disse: “Di che brigata siete?” I due si guardarono sbalorditi poiché non si aspettavano che un bambino così piccolo avesse queste conoscenze, ma comunque, gentilmente, gli risposero: “Siamo della brigata Rosselli, siamo di Impruneta e di Ponte a Ema”. Eugenio non riuscì neanche a dire quanto li ammirasse, che entrò in casa il fratello maggiore che cominciò a parlare con i partigiani, quindi Eugenio si ritirò in camera.

Dopo la cena, prima di andare a dormire, si avvicinò ai due e disse: “Una mia amica è stata rinchiusa dentro Villa la Selva con tanti altri ebrei. Per favore aiutate queste persone a ritornare di nuovo libere”. Un partigiano allora rispose: “Noi non sapevamo dell’ esistenza della villa. Vorremmo aiutarvi, ma prima dobbiamo informare i nostri compagni e non abbiamo un mezzo sicuro per informazioni così importanti”. Eugenio, però, non si scoraggiò : “Se volete, posso trasportare le vostre lettere con la bici! So arrivare persino a Panzano!”. “Mmmm…” disse uno degli uomini, “Potrebbe funzionare”.

Il giorno dopo andò dal biciclettaio, dove trovò il suo amico Davide: “Davide, il telaio l’hai trovato?” “Sì” rispose una voce dal retrobottega, “Ti ricordi che mi devi un favore? Mi presti la bici?”. “Va bene, ma non la rompere! Ora sono occupato, prendila tu stesso, è quella con i pezzi grigi e verdi”. “Grazie, Davide”; subito Eugenio salì sulla bici e tornò a casa.

Partì per portare il primo messaggio all’Impruneta. Fece avanti e indietro per tante volte e, anche se lui non lo sapeva, nello stesso periodo c’era un altro grande ciclista che trasportava documenti falsi aiutando molti ebrei.

All’inizio di luglio, finalmente, i partigiani riuscirono a liberare Villa La Selva e, quindi, anche Caterina. La ragazza, che ormai aveva perso i genitori, all’uscita da Villa La Selva venne aiutata dai ragazzi e imparò l’italiano; Augusto le diede persino le sue bistecche.

Una notte, precisamente il 10 Luglio , cioè l’ ultima notte che i partigiani trascorsero lì, Eugenio chiese ai due : “Perché avete voluto fare i partigiani?”. Loro ci rifletterono un po’ e poi uno gli rispose: “Cerco di usare parole semplici: in questo modo possiamo aiutare persone alle quali sono stati sottratti i diritti da qualcuno di più potente. Ognuno di noi ha un mostro dentro, ma il vero coraggio sta nel riuscire a trasformarlo in un angelo che possa aiutare gli altri, non distruggerli. Alcuni grandi non ci riescono perché sono accecati dall’invidia e dal potere, dimenticandosi che le loro azioni ricadono su innocenti”. “Tuttora non so se Eugenio abbia capito le mie parole, ma sono certo che quegli ideali, seguiti da tante persone, voluti da tante persone, sono riusciti a cambiare le cose perché in una guerra non ci sono solo i politici che si sbraitano contro, ma anche tante persone che combattono, che muoiono, che soffrono e che aiutano. In una guerra le persone si aiutano e si sostengono: in quegli anni, ci sono stati contadini che hanno aiutato i partigiani, persone che hanno trasportato lettere e documenti falsi per salvare gli ebrei, persone che hanno aiutato gli ebrei a rischio della loro stessa vita”.

“Nonno, ma gli ebrei dove andarono, alla fine della guerra?” chiese la piccola me, distesa sul piccolo lettino. “Molti sono tornati a casa; molti, come Caterina, sono stati aiutati da brave persone. Ora, però, vai a dormire che è tardi e domani devi andare a scuola”, disse mio nonno severo. “Aspetta, l’ ultimissima domanda!” Il nonno fece un lungo sospiro, ma decise di accontentarmi. “Dimmi…”. “Ma, nonno, come fai a conoscere questa storia?”

“Anche se il bene si fa, ma non si dice, ormai siamo alla fine e posso dirti che uno dei due partigiani ospitati da Eugenio ero io e l’altro era un mio caro amico, Giulio Dei. Spero che gli sforzi di tutti noi partigiani non vadano sprecati, perché è più facile non agire o fare del male alle persone, piuttosto che impegnarsi per fare del bene, rischiando la vita. Ricordati, Agata, che nessuno potrà mai apprezzare veramente quel che abbiamo, se prima non ha vissuto o gli è stato raccontato l’inferno”

Agata Di Rita 2B

TESTO MENZIONE SPECIALE CLASSI SECONDE SECONDARIA

Il 14 Giugno del 1941 i ragazzi videro entrare la ragazza dentro villa La Selva.

Il giorno dopo Davide, Eugenio, Renzino e Augusto si diedero appuntamento per pranzare insieme. Così si ritrovarono, a parte Davide,sul muretto vicino villa La Selva.

“Secondo voi la rivedrò?” chiese Eugenio.

“Chi?” rispose Augusto.

“La ragazza”

“Ah quella! Boh” replicò Augusto.

“Dovresti chiederlo a lei, nessuno lo sa!” disse Renzino. Tutti si voltarono e videro un gruppo di persone che stava uscendo dalla villa e che si dirigeva verso i campi.

Dentro al gruppo di persone si trovava la ragazza.

Eugenio chiese: “Dove vanno?”

“Vanno a lavorare nei campi per procurare il cibo alle guardie” disse Renzino.

“E a loro nulla ?!” chiese frustrato, “A volte sì, ma poco…e poi abbassa la voce che ci sentono!” disse Renzino.

“Che ingiustizia” replicò Eugenio.

Arrivò Davide con dei panini avvolti in fazzoletti rossi.

Iniziarono a mangiare. Solo Eugenio non toccò cibo per tutto il pranzo.

Capirono dopo il perché. Non aveva mangiato perché voleva dare il suo panino alla ragazza misteriosa.

Quando gli ebrei furono di ritorno verso la villa, Davide disse “Eugenio, guarda, sta aspettando ad entrare…valle a parlare!”

Eugenio con timore andò a parlarle.

Quando tornò raccontò che aveva scoperto che si chiamava Alice.

“Bel nome”disse Daniele

“Eccome se è bello!”disse Augusto.

“Purtroppo tra un po’ non potrai vederla” disse Renzino.

“Perché?!” chiese Eugenio

“Non lo sai?!” replicò Augusto

“Tutte le persone che vedi tra un po’ di tempo verranno portate nei campi di sterminio” disse Davide Eugenio triste tornò a casa.

Dopo due settimane la villa era completamente vuota, era rimasto solo il fazzoletto rosso del panino che Eugenio aveva donato ad Alice.

Eleonora Batisti 2A

TESTO VINCITORE CLASSI TERZE SECONDARIA

La ragazza ebrea fu portata dentro il campo di prigionia. Eugenio, Davide, Augusto e Renzo dopo qualche giorno tornarono al solito posto e videro un’altra ragazza, sempre molto bella, che stava per entrarvi. Davide disse: “Eh eh, questa volta tocca a me, caro Eugenio, prendiamo un fiore e andiamo”. Eugenio gli rispose: “Le mie tattiche sono sempre le migliori se solo sapessi dove è la ragazza della scorsa volta!” “Ciao!” disse Davide alla ragazza che stava per entrare. Lei, non capendo l’italiano, continuò ad andare avanti ed una guardia lo rimproverò: “Ehi tu, vai via!”

Davide, intimorito, gli rispose: “Sì, mi scusi!” Tutti i ragazzi si misero a ridere. Davide tornò con in mano il fiore che sperava di darle e commentò l’accaduto: “Ahh non sono bravo quanto te!” Eugenio rientrò a casa pensando alla ragazza.

La mattina seguente andò lì da solo e vide degli operai mettere davanti a quel cancello un cartello: “Campo di prigionia”. Non sapendo cosa volesse dire, chiese il significato a suo babbo, lui gli rispose: “Caro Eugenio, un campo di prigionia è un luogo dove vengono portate persone ebree, omosessuali, disabili… queste persone vengono fatte stare lì e messe ai lavori forzati, alcuni sono poi spostati nei campi di sterminio. Eugenio domandò a suo babbo perché venisse fatto e suo babbo gli rispose: “Perché secondo alcuni tedeschi gli ebrei sono inferiori, ma ricorda che siamo tutti esseri umani!

In Germania chi la pensa così è nazista, in Italia, fascista!”.

Eugenio insisté: “Babbo, ma come mai le persone che entravano avevano delle stelle attaccate alla maglia?” “Perché ogni stella di colore diverso indica le categorie in cui li hanno divisi, quella gialla è per gli ebrei, ad esempio!” rispose il babbo, Eugenio esclamò: “Noo! Quella povera ragazza innocente!” così si mise a piangere e spiegò tutto al babbo. Lui lo rassicurò: “Calmati, Eugenio! Passa tutto!”.

Un mese dopo il ragazzo decise di tornare alla villa insieme ad Augusto e videro che erano state costruite delle rotaie davanti al campo di prigionia. Eugenio commentò:

“Povere persone! Verranno portate tutti nei campi di concentramento!” Augusto lo rassicurò: “Dai, Eugenio, andiamo a giocare e non pensare a queste cose!”. La mattina seguente Eugenio vide partire un treno che andava verso la Germania e intravide a malapena la ragazza che gli aveva dato un bacio sulla guancia. Poi accade qualcosa di strano, all’improvviso Renzo annunciò a tutti i ragazzi: “Devo partire per un viaggio! Purtroppo non so quando ritornerò. Ci vediamo, ragazzi, mi mancherete! Ciao!”. I ragazzi gli risposero: “Ciao Renzo, anche tu mancherai a noi!”.

Eugenio capì che anche Renzo e la sua famiglia dovevano essere ebrei. Quando la famiglia arrivò a Livorno, con l’intenzione di partire per la Sicilia, fu fermata e dovette consegnare i documenti. Quelli che li controllavano erano tedeschi così li presero di forza. La mamma, il babbo e Renzo furono messi su un camion che li riportò in Toscana, proprio nel campo di prigionia di Villa La Selva. Eugenio era a giocare a calcio lì davanti con Davide ed Augusto quando vide Renzo salire piangendo su un altro treno in partenza. Così Eugenio pensò che forse un miracolo lo avrebbe fatto ritornare a giocare a calcio con loro a Ponte a Ema e sperò che quel miracolo accadesse, per lui come per la ragazza di cui si era innamorato.

Giorgio Genduso 3C

TESTO MENZIONE SPECIALE CLASSI TERZE SECONDARIA

La guardia riportò dietro le sbarre la ragazzina e si sentì un forte boato; erano le due ante del cancello che si chiudevano. I tre ragazzi rimasero in silenzio, un silenzio duraturo, che nessuno osava interrompere. Da quella villa si sentivano urla di genitori e bambini. Augusto, impaurito da quella villa e scocciato di aspettare qualcuno che comunicasse qualcosa, riprese le sue bistecche e si avviò verso casa.

Renzino lo seguì di striscio, andando, però, verso casa propria. Invece Eugenio restò su quel muretto, lì a sedere, ad aspettare qualcosa che nemmeno lui sapeva.

Qualche giorno dopo Davide, Eugenio e Renzino tornarono su quel muretto: chiacchieravano e scherzavano tutti a parte Eugenio, con lo sguardo fisso su quel cancello. Gli amici lo prendevano in giro dicendogli frasi del tipo: “Ti manca la tua fidanzatina?” o “Ti sei innamorato di un’ ebrea?-“ oppure ancora “Ci sei rimasto così male?” e risatine varie. Un giorno di primavera, uno di quelli in cui sbocciano i primi fiori, Eugenio era sempre lì, fisso su quel muro. Dalla villa si sentiva una vocina timida, rivolta verso Eugenio. Si sentiva “Hey, hey!”. Eugenio balzò in piedi, percorse qualche metro attorno alla villa, finché non arrivò da dove proveniva la voce, che apparteneva proprio alla ragazza che aveva conosciuto quel giorno.

Lei era alta, magra, aveva due trecce lunghe e castane chiaro, quasi bionde. Si guardavano negli occhi ostacolati dalle sbarre, rivestite di filo spinato. Stettero ore a guardarsi, a ridere ed a cercare di capirsi… ma non gli interessava perché stavano bene lo stesso. Nei giorni a venire Eugenio le portava o condivideva con lei la merenda e il pranzo, che fosse semplice pane o del semplice formaggio. In alcune giornate le portava anche dei giochi come dama o filetto, oppure le carte da scopa. Insomma, Eugenio si era dato da fare e le aveva insegnato tutto quello che poteva. Presto arrivò l’inverno, i due si vedevano con meno frequenza a causa delle basse temperature.

L’ inverno del 1943-1944 fu un inverno freddissimo. Eugenio e Helly, la ragazza, fecero due piccoli pupazzi di neve, uno nel campo di concentramento e uno fuori villa la selva.

Gli ebrei erano vestiti con una maglia e dei pantaloni di cotone molto leggero.

Proprio per questo Eugenio portò a Helly una sciarpa, dei guanti e dei nuovi calzini di lana. Continuarono a giocare e scherzare e la ragazza imparò anche un po’ di italiano con l’aiuto del suo nuovo amico. Poi arrivò un giorno di marzo in cui Helly non si presentò. Eugenio non ne fece un problema enorme, pensava solo che quel determinato giorno non fosse potuta venire, ma quell’assenza si prolungò, non di un giorno, non di due, ma di tante settimane. Il ragazzo, ottimista, non pensò subito al peggio, pensava però che si fosse stancata di lui e si fosse trovata un nuovo amico.

Ovviamente Eugenio continuò a presentarsi davanti a quel cancello. Una mattinata di maggio, verso le 11:00, Eugenio era seduto di fronte al filo spinato con una scacchiera e delle carte. Stava per andarsene quando si sentì chiamare da dietro con una voce sottilissima. Era Helly. Era diventata magra magra, debole da non reggersi in piedi e le avevano tagliato tutti i suoi capelli biondi.

La prima cosa che fece fu scusarsi infinitamente con Eugenio per non essersi fatta vedere per tutto quel tempo. Con voce imbarazzata e sottile disse:”Non volevo farmi vedere così, non mi riconosco nemmeno più.” Eugenio la consolò e sorrise dicendo: “Non ti devi vergognare di me.” Iniziarono a giocare a dama per circa un’oretta e poi Eugenio tornò a casa. Si vedettero quasi tutti i giorni, come prima.

Il 9 luglio 1944, una giornata assolata di piena estate, il campo di concentramento Villa la selva fu finalmente liberato dai partigiani. Eugenio, sentita la notizia, si avviò verso il campo. Quelle poche persone che avevano resistito, uscivano dal cancello con area incredula, come se non si ricordassero più come fosse fatto il mondo fuori di lì. Ma non vedeva Helly. Chiedeva a tutti, ma nessuno la conosceva. Nessuno, a parte una ragazza, aveva più o meno l’età di Helly. Con le lacrime agli occhi disse a Eugenio:” Prima di scappare via, i fascisti hanno fatto fuori più ebrei possibili, mi dispiace tanto.”

In quel momento a Eugenio crollò il mondo addosso. Mentre correva a casa, piangeva e urlava chiedendosi perché. Restò nella sua camera tutta l’estate e anche i mesi a venire. Poi, un giorno come un altro, capì che tutto questo stare male non avrebbe portato Helly indietro. Quindi poteva solo essere fiero di averla conosciuta e di poter raccontare di lei ai suoi figli e i suoi nipoti. Non avrebbe smesso: un giorno avrebbe parlato di queste ingiustizie, di queste morti insulse a tutti, soprattutto ai giovani ignari perché nati molto tempo dopo. Helly sarebbe diventata un simbolo di conoscenza, speranza, vita vera!

Viola Bini 3B